- APOLLO 54 (2007) di Giordano Giulivi - recensione del film



La trama: strani simboli, forse di natura aliena, invadono le televisioni di tutto il mondo. La visione troppo prolungata di tali simboli rincretinisce gli spettatori, riducendoli in uno stato catatonico. Due uomini scoprono in un bosco un lunghissimo cavo, che parte da terra e si eleva in cielo. I due “astronauti fai da te” costruiscono una scalcinatissima astronave e la collegano al cavo. Decidono cosi’ di risalire il cavo fino oltre l’atmosfera terrestre, dirigendosi nello “spazio profondo”. Riusciranno i nostri buffi eroi a scoprire la natura dei simboli e a capire l’origine del cavo? Riusciranno insomma a salvare la Terra, e forse l’Universo, dalla distruzione?

“Apollo 54” è un lungometraggio amatoriale (o quasi) girato nel 2007 a Roma da Giordano Giulivi. Gli ideatori del folle progetto sci-fi sono, oltre al regista, anche il fratello Duccio Giulivi, Luca Silvani e Silvano Bertolin. Una vera e propria cooperativa. I quattro si occupano un po’ di tutti i comparti del film: regia, montaggio, sceneggiatura, scenografia…recitano pure nei ruoli principali.
“Apollo 54”, l’anno dopo la sua produzione, fa il giro del mondo: viene proiettato in una miriade di festival di cinema indipendente, e non solo. Vince 2 premi al “Brooklyn International Film Festival”: lo “Spirit Award” e il “Best Editing”. A quasi dieci anni di distanza è stato proiettato (e riscoperto) nuovamente, al “Future Film Festival” di Bologna, nell’ambito della bella retrospettiva sul cinema indipendente italiano “Apocalissi a basso costo”. Una riscoperta assolutamente meritata. Il film di Giulivi è uno delle poche opere indipendenti italiane che può appropriarsi senza vergogna della definizione “cult”, tanto amata dai cinefili. “Apollo 54” è stata una sfida durissima per il “collettivo” che l’ha portato a termine: riuscire a girare un lungometraggio di fantascienza con un budget inesistente. Praticando un genere nel quale i registi italiani sono stati sempre scarsi. Eppure, con tante idee e grande sapienza artigianale (ma anche un buon uso della computer grafica) sono riusciti a creare qualcosa di impensabile. E non solo: “Apollo 54” non è semplice fantascienza, è fantascienza comica. Omaggia tantissimi film che corrispondono a questo crossover di generi. E spesso fa ridere. E non poco. Non tutte le scene comiche sono riuscite, ma ce ne sono alcune quasi da antologia che compensano le altre. I due protagonisti poi, anche muti, al solo guardarli, provocano sane e grasse risate. La fotografia è molto particolare: è marroncina, “virata seppia”, e restituisce allo spettatore la sensazione di trovarsi di fronte ad un vecchio sci-fi dei primi anni 60. “Apollo 54” dura ben 98 minuti: sembrerebbe un’enormità per i canoni dei prodotti indie italiani. Eppure i due astronauti romani e le loro assurde e divertentissime avventure ci tengono incollati alla poltrona per tutta la durata della pellicola, senza annoiare mai. Da culto l’inseguimento con il pazzo “casellante” sulla carreggiata dell’autostrada “spaziale”. Nemmeno il finale delude. Elemento centrale del film rimane questo misteriosissimo cavo, piantato non si sa da chi sulla Terra, e che si addentra nello spazio infinito. Dove finirà il cavo? E’ stato costruito davvero da una civiltà aliena? O è stato creato da Dio? Lo scoprirete solo vedendo “Apollo 54”…

Regia: Giordano Giulivi; Soggetto: Giordano Giulivi; Sceneggiatura: Giordano Giulivi, Duccio Giulivi e Luca Silvani; Interpreti: Duccio Giulivi (Jim Bob), Luca Silvani (Anselmo), Giordano Giulivi (Apelle), Mariapina Bellisario (reality show girl), Silvano Bertolin (Bobby Joe), Tamara Boggiano (reality show girl n. 2), Silvano Corsi (presentatore), Franca Macrelli (giornalista); Fotografia: Giordano Giulivi; Musica: Duccio Giulivi; Costumi: Giordano Giulivi, Duccio Giulivi e Silvano Bertolin; Scenografia: Giordano Giulivi, Duccio Giulivi, Luca Silvani e Silvano Bertolin; Montaggio: Giordano Giulivi; Suono: Giordano Giulivi; Produzione: Giordano Giulivi, Duccio Giulivi, Luca Silvani e Silvano Bertolin

Recensione di
Massimo Bezzati

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