UNA VITA DIFFICILE (1961)

Regia/Director: Dino Risi
Soggetto/Subject: Rodolfo Sonego
Sceneggiatura/Screenplay: Rodolfo Sonego
Interpreti/Actors: Alberto Sordi (Silvio Magnozzi), Lea Massari (sua moglie Elena), Franco Fabrizi (Franco Simonini), Lina Volonghi (Amelia Pavinato), Claudio Gora (comm. Bracci), Antonio Centa (amico di Elena), Franco Scandurra, Mino Doro (Gino Laganà), Daniele Vargas (marchese Cafferoni), Loredana Nusciak [Loredana Cappelletti] (amica di Elena), Edith Peters (se stessa), Paolino Vanni (Paolino Magnozzi), Umberto Raho, Borante Domizlaff, Valeria Manganelli, Bruna Perego, Alfonsina Cetti, Piera Pichi, Carlo Kechler, Nina Honenlohe Oehringen, Kraft Honenlohe Oehringen, Alfredo Lucifero, Enzo Casieri, Leo Monteleoni, Antonio Marrosu, Salvatore Campochiaro, Carolyn de Fonseca, Vittorio Gassman (se stesso), Renato Tagliani (se stesso), Alessandro Blasetti (se stesso)
Fotografia/Photography: Leonida Barboni
Musica/Music: Carlo Savina
Costumi/Costume Design: Lucia Mirisola
Scene/Scene Design: Mario Scisci
Montaggio/Editing: Tatiana Casini
Suono/Sound: Biagio Fiorelli
Produzione/Production: Dino De Laurentiis Cinematografica
Distribuzione/Distribution: De Laurentiis
censura: 36203 del 19-12-1961


ATTENZIONE LA SEGUENTE RECENSIONE CONTIENE SPOILER

"Nessuno dovrebbe andare al cinema se non crede agli eroi" diceva John Wayne ai suoi ammiratori negli anni sessanta.

Nel dopoguerra, negli  anni del boom economico, i registi della commedia all'italiana agli eroi proprio non credevano. I protagonisti di quel cinema erano, molto spesso figure di uomini senza scrupoli, arrivisti, cinici oppure personaggi deboli, corruttibili, cialtroni o imboscati. Prevaleva il disprezzo, il sorriso amaro e la satira di costume verso il borghese, anzi l'imborghesito.
Se da prima il neorealismo, con il suo carico di drammaticità, ci ha fatto conoscere il volto di quella società stremata dalla seconda guerra mondiale che voleva affrancarsi dall'orrore vissuto per poter rinascere, due generazioni dopo gli autori cinematografici si ritrovano di fronte un'altra Italia da raccontare, ricca di denaro ed industrie, ma povera di sogni e di ideali.

In questo contesto che Rodolfo Sonego, confeziona per il produttore Dino De Laurentiis e per il regista Dino Risi, il soggetto e la sceneggiatura di un film drammatico che racconta il fallimento e poi il riscatto della vita di un uomo che non si piega. La storia si svolge tra la fine della seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni sessanta. Il racconto di quindici anni vissuti intensamente. Nasce così "Una vita difficile", commedia drammatica (ossimoro azzeccato) che promuove Sordi a campione del genere e Risi a regista capace di scrivere con la mdp la contemporaneità dell'Italia in veloce trasformazione. Un mix audace, un argomento non convenzionale; nasce una delle idee più belle del nostro cinema. Quando viene chiamato per interpretare la parte, Alberto Sordi ha già alle spalle molti film, teatri di rivista, doppiaggi e radio. Sono quasi sempre ruoli pettegoli, caricaturali, da macchietta comica, da soldato pavido, da guitto dialettale e perciò nessuno si aspettava che un regista proponga all’Albertone nazionale una interpretazione da idealista con buoni principi ed integrità morale. Molto simbolica e carica di significato la scena in cui il commendator Bracci (Claudio Gora) si prende un sonoro ceffone ai bordi della sua lussuosa piscina e finisce in acqua tra lo smarrimento e la sorpresa dei suoi numerosi ed importanti ospiti, cardinale compreso. Non è una scena slapstick, ma è così che Silvio Magnozzi (Alberto Sordi), artefice dell'improvviso manrovescio, trova il suo riscatto e la forza per costruire una nuova vita con la moglie Elena (Lea Massari).  Finale aperto perché la coppia deve reinventarsi e consolatorio perché prevale l'uomo buono su quello cinico.
Si individua nel film una sorta di costante e stretto legame tra gli avvenimenti personali dei protagonisti e le vicende che interessano la vita della nazione. Le narrazioni si legano, si alternano e si rimescolano con fatti di cronaca, di politica e di vita spicciola. Da qui anche un approccio documentaristico con le immagini dei cinegiornali dell'epoca che si alternano con lo storytelling, armonizzandosi magistralmente in un vivace bianco e nero. Finzione e realtà si alternano cadenzando i fatti più salienti della storia contemporanea che Sordi nel film vive in prima persona. Ne esce fuori un gioco delle immagini dove ad ogni evento storico corrisponde una parte di vissuto:

- La lotta partigiana e l'impegno di Silvio che, da giornalista schierato, aderisce alle brigate libere dopo l'8 settembre '43;
- L'oro fascista di Dongo e il viaggio al nord; il mancato scoop giornalistico fa ritrovare la coppia;
- Il referendum istituzionale del 1946 per la monarchia e la Repubblica che fa vivere a Silvio ed Elena una serata indimenticabile in casa di nobili monarchici a Roma,
- L'attentato a Palmiro Togliatti nel '48 e la partecipazione di Silvio alle relative sommosse che gli costeranno 2 anni di galera;
- La morte di Stalin nel 1953 che coincide con il fallimento del matrimonio, dell'esame di laurea e dell'inizio di una lunga crisi esistenziale,
- Il boom economico e il tentativo di pubblicare, senza esito, la sua autobiografia "Una vita difficile", censurata dall'editoria e dal cinema.

E' un film alla ricerca dei fantasmi dell'ideologia e dell'idealità; tra crisi e disperazione ci avverte che c'è ancora spazio per il riscatto dell'uomo e del cittadino. Magnozzi resta povero, forse non capito e sbeffeggiato secondo i canoni di giudizio del mondo che lo circonda, ma gli resta l'onore dettato datta sua etica. Poteva fare "fortuna" e invece si è ritratto appena in tempo per salvarsi. E' un uomo mai cresciuto, un per sempre bambino che si lascia portare per mano da Elena, moglie e madre che lo ha salvato e che vorrebbe inquadrato in una vita normale.
Nella cinematografia dell'epoca questo tema verrà ripreso da "C'eravamo tanto amati" di Ettore Scola, dove verranno trattate le stesse tematiche, e sarà ancora successo.
Il grande pregio di Risi è stato quello di dare tono e ritmo al film, a volte anche in modo grottesco, ma mai sguaiato, e spesso con scene che fanno apprezzare ancor di più i protagonisti, la regia e la sceneggiatura.

Formidabili alcune trovate:
- Il ferro da stiro che la giovane Elena scaglia sul tedesco,   uccidendolo, per salvare Silvio da morte certa,
- Il pasticcio di pasta che i due affamati protagonisti mangiano avidamente alla faccia degli affranti nobili romani sconfitti nel referendum monarchia- repubblica.
- Il dialogo da ubriaco di Silvio di fronte allo sconcertato pastore-"Dimmi pastore, ma tu sei felice?"- dopo essere stato lasciato da Elena,
- Le prime luci di una estiva alba viareggina, dove lui, uomo fallito, all'inseguimento dei suoi fantasmi, sputa alle macchine che passano.

Cast è di valore; in evidenza i cameo di Vittorio Gassman, di Silvana Mangano e del regista Alessandro Blasetti che, a cinecittà, cercano di sfuggire allo "scrittore" Magnozzi.
Una particolare citazione merita Rodolfo Sonego che ha accompagnato Sordi ne "Il conte Max"-1957, "Il vigile"-1960, Guglielmo il dentone de "I complessi"-1965, "Il comune senso del pudore"-1976 e tantissimi altri fino a diventare "lo sceneggiatore" dell'attore romano.
Infine Dino Risi, uno dei grandi papà della commedia all'italiana. Finiti gli anni cinquanta con i poveri ma belli e i pane, amore e fantasie varie, reinventa se stesso e il suo cinema. In questo film cavalca  i successi e le genialità del filone. Dopo verranno "Il sorpasso", "La marcia su Roma", "i mostri", ecc. e il cinema sarà ancora una volta tutto riscritto.
"Una vita difficile" non può far ridere e nemmeno sorridere; è uno spaccato impietoso su come potevamo essere e come, invece, siamo diventati. Chi ama il cinema lo guardi con amore e con un po' di malinconia.
In una intervista televisiva, poco prima di morire, Alberto Sordi affermò che il personaggio cui era più legato era quello di Silvio Magnozzi, poi c'era Giovanni Vivaldi de "Un borghese piccolo piccolo". Due ruoli da protagonista, per lui attore comico, che non ridono mai.

 
Recensione a cura di:




Commenti