IL VENDITORE DI PALLONCINI (1975)

Regia: Mario Gariazzo.
Soggetto: Mario Gariazzo, Armando Novelli.
Sceneggiatura: Luisa Montagnana, Massimo Franciosa.
Montaggio: Amedeo Giomini.
Fotografia: Claudio Racca.
Scenografia: Francesco Cuppini.
Direttore di Produzione: Fabio Diotallevi.
Musica: Stelvio Cipriani (Edizioni Musicali Le Galere)
Assistente Regia: Angelo Vicari.
Suono: Goffredo Salvatori.
Effetti Speciali/ Trucco: Lamberto Marini.
Versione Inglese: Tony La Penna.
Produttore Esecutivo: Armando Novelli.
Produzione: Cineproduzioni Daunia 70.
Interpreti: Lee J. Coob, James Whitmore, Renato Cestiè, Marina Malfatti, Maurizio Arena, Lina Volonghi, Adolfo Celi, Silvano Tranquilli, Gianni Agus, Gabriella Andreini, Pupo De Luca, Umberto D’Orsi, Giustino Durano, Giacomo Furia, Paola Nelli, Tony Norton, Franco Pesce, Carlo Romano, Andrea Scotti, Cyril Cusack, Giordano Albertoni, Alfredo Adami, Luciano Bonanni, Spartaco Battisti, Flora Carosello, Anna Di Leo, Cesare Di Vito, Vittorio Fanfoni, Sandra Mantegna, Fulvio Pellegrino, Lorenzo Piani, Derio Pino, Sven Valsecchi, Pietro Zardini.

Mario Gariazzo (1930 - 2002), spesso si firma Roy Garrett, come scrive Roberto Poppi ne I Registi Italiani (Gremese). Comincia come giornalista, debutta nel mondo dello spettacolo nelle vesti di impresario d’una compagnia teatrale e ne Il venditore di palloncini riproduce questa esperienza nei caratteri dei personaggi principali. Produttore cinematografico, debutta alla regia nel 1961 (Lasciapassare per il morto), si specializza come autore di genere in senso lato, dalla commedia erotica al western, lasciando un segno indelebile nel lacrima-movie. Gariazzo scrive il soggetto de L’ultima neve di primavera di Raimondo Del Balzo, pellicola simbolo del sottogenere italiano che deriva dal melodramma e dai film strappalacrime anni Cinquanta, e dirige Il venditore di palloncini, sceneggiato da una sua idea originale. La fantascienza è il genere che ama di più, il cult-movie resta Incontri molto ravvicinati del quarto tipo (1978).

Mario Gariazzo è importante come autore del lacrima-movie, genere tutto italiano che punta al finale tragico e vede protagonisti bambini ammalati, genitori severi o assenti, spesso redenti nelle ultime sequenze. Renato Cestiè è il bambino simbolo del sottogenere - dopo L’ultima neve di primavera - e anche ne Il venditore di palloncini il suo ruolo è fondamentale. Gariazzo pesca nei ricordi biografici, racconta le vicende d’una compagnia d’avanspettacolo, mette in scena il tradimento di Maria (Malfatti) che dopo una rappresentazione scappa con l’amante, abbandonando il marito Antonio (Whitmore) e il figlioletto Giacomino (Cestiè). Il padre sprofonda negli abissi di alcol e disperazione, gli amici al bar lo deridono, soltanto l’oste (Arena) cerca di aiutarlo. Il bambino, invece, reagisce lavorando sodo, interpretando la parte dell’adulto e provvedendo a ogni bisogno familiare. Mette su un teatro di burattini per i ragazzini che frequentano il parco e interpreta storie che lui stesso inventa, inoltre esegue piccoli lavori per portare denaro a casa. Un giorno, però, cade a terra colto da un malore, viene ricoverato d’urgenza e i medici si rendono conto che soffre d’una grave anemia che lo sta portando alla morte. Comincia il vero e proprio lacrima-movie che descrive il calvario del bambino in ospedale, affrontato con grande dignità e con il sorriso sulle labbra. Il primario (Celi) e il suo assistente (Tranquilli) sono molto comprensivi e insieme a una suora (Volonghi) cercano di dare conforto al piccolo. Gli ultimi desideri di Giacomino vengono esauditi: il padre ritrova la madre (faceva la prostituta) e la conduce al capezzale, un ladro ubriacone (J. Coob) restituisce i soldi rubati e tutti insieme vanno a vedere il circo, grande passione del bambino. Il finale è la parte migliore della pellicola, con la trovata surreale del venditore di palloncini, una dolce rappresentazione della morte che viene a prendersi il ragazzino. Gariazzo mi contraddice: “L’uomo che il ragazzo vede prima di spirare non è la morte ma Gesù. Infatti quando Giacomino gli chiede che fine fanno i palloncini, questi gli risponde che volano fino al Signore… e questo la morte non lo direbbe. Era in sostanza una rappresentazione non iconoclasta di Gesù Cristo. Probabilmente sono io che non sono riuscito a spiegarmi”. (Nocturno Cinema). Rispetto l’interpretazione autentica, ma confermo la mia impressione da spettatore.
Gariazzo gira con classe un lacrima-movie intriso di tutte le convenzioni del genere: genitori separati, padre assente, bambino cresciuto in fretta, malattia incurabile, riconciliazione e morte straziante. Ottima la parte ambientata nel mondo dell’avanspettacolo ma anche quella che racconta il circo, con un diligente Gianni Agus che apre le porte al bambino malato. Alberto D’Orsi è un tassista dal cuore enorme che regala al bambino una corsa gratis perché veda di nuovo la mamma in una sequenza commovente. Stelvio Cipriani compone una sinfonia al pianoforte, colonna sonora indimenticabile di un melodramma intenso e Roberto D’Anna canta un’Ave Maria scritta dal grande compositore italiano. Buona la ricostruzione di una Roma anni Settanta, popolare e solidale, dove forse tutti sono un po’ troppo buoni, ma è il tipo di storia che lo prevede. Il regista imprime alla vicenda un tono malinconico grazie a dissolvenze e storie incrociate, mostrando la degradazione del padre e la grande forza di volontà del figlio. Affiora una certa critica sociale quando Adolfo Celi afferma che non ci sono posti in ospedale e che si parla a vanvera di riforma della sanità. Fazzoletti compresi nel prezzo del biglietto, ma in un film simile se si piange molto significa che il regista è stato bravo. Straordinario Renato Cestiè come bambino prodigio del cinema italiano. “La mamma era bella, anche mio padre era bello quando c’era la mamma”, dice. Straordinario nel finale al circo quando unisce le mani dei genitori per non farli scappare mai più e per realizzare il suo ultimo capolavoro prima di morire. Bellissima e commovente la parte in cui tutti gli amici del padre fanno visita a Giacomino in ospedale e tutti insieme - persino il primario! - decidono di accompagnarlo al circo. Ottimi Adolfo Celi e Lina Vologhi, suora bontà che compra Diabolik al bambino, mentre Silvano Tranquilli si vede lo spazio di poche sequenze. Diligente Marina Malfatti nella parte più difficile e meno credibile dell’intera pellicola (la madre che abbandona il figlio e si mette a fare la prostituta). Carlo Romano per una volta non fa il doppiatore ma recita con la sua inconfondibile voce la parte di una guardia notturna. Bravi gli attori statunitensi, sia Lee J. Coob nei panni del ladro che James Whitmore come credibile padre ubriacone. Cyril Cusack è l’angelo della morte, il venditore di palloncini, che si esprime in termini poetici e teatrali. Dolce e delicato il tono di fondo di una pellicola che commuove anche gli animi più insensibili: “I palloncini raggiungono il cielo e raccontano tutto a Dio. Ci sono angeli anche in terra. I tuoi genitori sono angeli. Gli amici di tuo padre sono angeli. Tu sei un angelo…”. Il palloncino metaforico si stacca e vola in cielo. Il regista lascia soltanto intuire la morte del bambino. Il lacrima-movie è un genere italiano che meriterebbe una riscoperta approfondita. In linea di massima sono lavori di buon livello che ricossero grande successo in tutto il mondo.

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