IL VIZIO HA LE CALZE NERE (1975) di Tano Cimarosa - recensione del film


IL VIZIO HA LE CALZE NERE (1975)
Prima prova da regista per l’attore messinese Tano Cimarosa (1922 - 2008), caratterista del cinema italiano diventato popolare dopo l’ispirata interpretazione di Zecchinetta ne Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani. Troviamo l’attore spesso in ruoli minori nel cast di film importanti come La moglie più bella di Damiani, Il commissario Pepe di Scola, Detenuto in attesa di giudizio di Loy, Pane e cioccolata di Brusati e Nuovo cinema Paradiso di Tornatore. Tre i film da regista, a parte quello di cui ci occupiamo: No alla violenza (1977) e Uomini di parola (1980), due pellicole che firma anche come sceneggiatore.
Tano Cimarosa gira Il vizio ha le calze nere nella Riviera delle Palme, a San Benedetto del Tronto, su invito di un amico che vive nella cittadina adriatica, modificando la prevista location di Padova. Un giallo all’italiana, argentiano quanto basta, influenzato dal thriller erotico di Bava e Martino, con molto sangue e un pizzico di sesso, etero ma soprattutto saffico.
Un film costato duecento milioni di lire, girato in poco più di un mese, con molti esterni pensati proprio per far conoscere la cittadina adriatica, vero sponsor della pellicola. La storia sa molto di già visto. Un misterioso killer in guanti neri, ma soprattutto in calze nere e tacchi alti, uccide donne giovani e belle, massacrandole a colpi di rasoio. Un commissario, interpretato da un ingessato John Richardson, coadiuvato da un simpatico brigadiere siciliano come Tano Cimarosa, conduce le indagini e dipana il mistero. Il bandolo della matassa è la moglie lesbica (Lassander) di un notaio (Rossi Stuart) che intrattiene rapporti saffici con le vittime. Dopo molti sospetti che sviano l’attenzione sul vero colpevole, si scopre nelle ultime sequenze che il killer misterioso è il marito, geloso delle frequentazioni lesbiche della moglie. Finisce ucciso anche lui. Molte scene di sesso, girate sulla terrazza dell’hotel Roxy di San Benedetto e alla De Paolis. Le ispirate musiche di Carlo Savina - intense e suggestive - accompagnano lo spettatore alla scoperta di una cittadina balneare che per la prima volta si mostra in tutto il suo fascino decadente. Il vizio ha le calze nere ottiene un grande successo soltanto al cinema Pomponi di San Benedetto, in anteprima, dove i cittadini fanno la fila per rivedersi e per ammirare su grande schermo le panoramiche del porto, le spiagge e la Riviera delle Palme. Purtroppo il film esce con l’inevitabile divieto ai minori di anni diciotto a causa di troppe scene di sesso e di molte riprese particolareggiate che mostrano ferite a colpi di rasoio. La censura, secondo Marco Giusti (Stracult), taglia qualcosa come 40 metri di pellicola, limitando scene di lesbismo, distruggendo un rapporto sessuale con protagonista Ninetto Davoli ed eliminando una gola tagliata. Ma se ne vedono a sufficienza. Daniela Giordano esce presto di scena, protagonista assoluta di un incipit inquietante durante il quale viene massacrata a colpi di rasoio e finita all’interno di una cabina telefonica. Alcune inquietanti foto in bianco e nero ritraggono la Giordano con la gola tagliata e molte ferite mortali, così come la vediamo cadavere nella sala obitorio di medicina legale. Buone le interpretazioni, a parte gli attori più giovani, ricordiamo un ottimo Ninetto Davoli nella parte di un magnaccia e una sensuale Dagmar Lassander, a suo agio nelle interpretazioni saffiche. Giacomo Rossi Stuart si vede poco ma è sua la parte principale, in fondo. Magda Konopka, Dada Gallotti e Pier Anna Quaia sono altre buone presenze femminili. Tano Cimarosa è un tantino invadente nei campi e controcampi, da regista non riesce a gestire una sovraesposizione d’immagine, nonostante l’aiuto di Gianni Siragusa. In ogni caso è migliore di John Richardson che ricordiamo più a suo agio nel lacrima movie e in alcune interpretazioni drammatiche. Il film è quasi tutto girato in cupi notturni, a base di zoom e soggettive, gole tagliate, fendenti a colpi di rasoio e rapporti sessuali così espliciti da ricordare lo stile del porno. Tecnica di regia scolastica ed essenziale. Fotografia sporca, montaggio non troppo rapido e un finale fiacco che poteva portare alla scoperta del colpevole giocando di più sulla suspense e sul colpo di scena per immagini. Ricordiamo a livello di curiosità la presenza del flipper nei bar con i ragazzi che segnano i record con la biro, vero e proprio simbolo di un’epoca. Tentativi di discorsi politici abbastanza patetici sull’Italia degli anni Settanta funestata da un eccesso di atti criminali. Buone alcune parti oniriche con dissolvenze e cambio di colorazione nella fotografia (diventa flou, soffusa) che vedono protagonista Dagmar Lassander e introducono ricordi languidi di amori saffici. Interessanti alcuni flashback che riportano al passato e durante il ricordo di una festa in villa rivediamo per un istante Daniela Giordano. La tensione è abbastanza buona, il film gioca tutte le sue carte sulla dicotomia sesso e sangue che caratterizza la produzione italiana del giallo argentiano d’imitazione. Il parametro di riferimento non è certo Hitchcock ma il fumetto nero, sadico e perverso che va molto di moda tra i giovani.
La critica. Delirium afferma che il film non è memorabile. Marco Giusti e Giiovanni Buttafava lo definiscono Stracult. E non poteva essere da meno. Paolo Mereghetti (una stella) distrugge tutto: “Il caratterista Cimarosa, interprete dell’invadente brigadiere che pronuncia battute che non fanno ridere nessuno, firma la sua prima regia. Immeritata fama cult per un tediosissimo e dilettantesco sottoprodotto post-argentiano. Scritto da Adriano Bolzoni e Luigi De Marchi, con battute  come: "Per molto tempo non riuscirò a pensare a un rasoio senza stare male”. Pino Farinotti è più indulgente: due stelle. Ma non motiva. Morandini non ne parla proprio. A nostro parere non un capolavoro, molta imitazione, ma un film che a distanza di anni si fa ancora guardare. Se avesse optato per finale diverso - magari scegliendo la strada del doppio colpo di scena - sarebbe stato ancora più intrigante.

Regia: Tano Cimarosa. Soggetto: Adriano Bolzoni. Sceneggiatura: Luigi De Marchi. Aiuto Regista: Gianni Siragusa. Fotografia: Marcello Masciocchi. Montaggio: Romeo Ciatti. Musiche: Carlo Savina. Edizioni Musicali: C.A.M.. Operatore alla Macchina: Arcangelo Lannutti. Fotografo di Scena: Ermanno Serto. Fonico: Antonio Forrest. Costumi: Paola Di Sante. Sviluppo e Stampa: Technicolor. Negativi: Kodak Eastmancolor. Teatri di Posa: Icet - De Paolis. 
Sincronizzazione: Fonolimpia. Doppiaggio: Sincrovox. Direzione Doppiaggio: Lucio Rama. Organizzatore Generale: Alfredo Lupo. Produttore. Giovanni Carrino. Casa di Produzione: I.R.I. Cinematografica. Interpreti: John Richardson, Dagmar Lassander, Ninetto Davoli, Magda Konopka, Giacomo Rossi Stuart, Daniela Giordano, Pier Anna Quaia, Tano Cimarosa, Giovanni Brusatori, Dada Gallotti, Gianni Williams, Giovanna D’Albore, Livio Galassi, Marco Buscialà. censura: 67132 del 25-09-1975

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