LASCIAPASSARE PER IL MORTO (1962)


Regia/Director: Mario Gariazzo
Soggetto/Subject: Mario Gariazzo
Sceneggiatura/Screenplay: Mario Gariazzo, Gennaro Arendo, Carlo Ferrero
Interpreti/Actors: Alberto Lupo (Maurizio), Hélène Chanel (Hélène), Linda Christian (Eva), Erno Crisa (Walter), Piero Lulli (Piero), Paul Müller (quarto complice), Nando Angelini (ufficiale doganale), Claudio De Rossi, Guido Di Salvo, Carlo Ferrero, Romano Ghini, Jeanine Hendy (Jeanine), Cesare Zanone
Fotografia/Photography: Claudio Racca
Musica/Music: Marcello Giombini
Scene/Scene Design: Enrico Tovaglieri
Montaggio/Editing: Otello Colangeli
Produzione/Production: Antonelliana Cinematografica
Distribuzione/Distribution: Antonelliana Cinematografica
censura: 36524 del 09-01-1962

Non si può dire certo che ‘Lasciapassare per il morto’ sia un capolavoro: incerto è l’uso della tematica metafisica, troppo ingenue alcune soluzioni, ritmo lento e nel complesso pochi sussulti sia a livello visivo che d’intreccio tant’è che a volte sembra di assistere a un miscuglio di generi (gotico inglese, polar francese e noir americano) buttati un po’ alla rinfusa. Tuttavia, ed è quello che più ci è piaciuto del film di Gariazzo – qui al suo esordio - è la scelta stilistica che a un certo punto il regista compie, concentrandosi totalmente su Maurice, il personaggio interpretato da Alberto Lupo – all’epoca avvezzo ad interpretazioni allucinate, basta ricordarlo in ‘Seddok, l’erede di Satana -  accompagnandolo nella sua lunga agonia tra le braccia della Morte (Linda Christian).
Il film parla di una rapina, un colpo grosso andato male per i complici, ma non per Maurice, che si ritrova in possesso di una fortuna, un malloppo però difficile da gestire e da trafugare. Maurice sceglie la fuga in Francia e poi – magari - in Sudamerica. Alla compagna Helene (Hélène Chanel) a cui confessa tutto e che lo invita a costituirsi, dirà che l’ergastolo equivale alla morte: non c’è scelta, non resta che la fuga. Helene, che lo ama, lo seguirà.

Come in ‘Giungla d’asfalto’ gli autori della rapina sono dei perdenti e la discesa all’inferno di Maurice è inevitabile: prima giocato dalla guerra - mentre gli altri rimasti a  casa avevano le tasche piene di quattrini, lui, internato in un campo di concentramento, era tornato senza niente - poi dalla vita – ‘ho tentato sì di lavorare, un lavoro qualsiasi, ma ancora niente, soltanto umiliazioni, fallimenti - e - un po’ come per il Nazzari del bel film di Lattuada, ‘Il bandito – anche per lui, l’unica scelta che rimane per difendere la propria dignità violata in un mondo popolato da furbi è quella di andarsene per la strada sbagliata: la scelta è obbligata è quella di diventare ladro, assassino, bugiardo e a Maurice il coraggio non manca,.

Il film vive il suo momento migliore quando Maurice improvvisa la sua fuga sostituendosi al cadavere di un turista francese morto in Italia e che deve essere accompagnato oltre confine. Purtroppo la dogana italiana dimenticherà di apporre un bollo sul lasciapassare – sigh – e Maurice verrà rispedito al mittente, internato nella cella frigorifera blindata dell’obitorio dove sono custoditi i cadaveri dei suoi complici. Quando tutto sembra perduto – interessanti qui alcune inquadrature - Maurice riuscirà ad evadere.

Finalmente fuori dalla cella, Maurice, ormai stremato, tenterà di superare il confine a piedi attraverso i sentieri innevati. Ma il rigido inverno delle Alpi non gli lascia scampo: il suo destino è segnato e la Morte è pronta ad accoglierlo tra le sue braccia.

Recensione a cura di:

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