LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO (1976)

Regia/Director: Pupi Avati
Soggetto/Subject: Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina, Maurizio Costanzo
Sceneggiatura/Screenplay: Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina, Maurizio Costanzo
Interpreti/Actors: Lino Capolicchio (Stefano), Francesca Marciano (Francesca), Gianni Cavina (Coppola), Giulio Pizzirani (Antonio Mazza), Vanna Busoni (Laura Legnani), Andrea Matteuzzi (cav. Poppi), Bob Tonelli (Solmi), Pietro Brambilla (Lidio), Ferdinando Orlandi (maresciallo), Ines Ciaschetti (maestra), Flavia Giorgi, Carla Astolfi, Tonino Corazzari, Pina Borione, Arrigo Lucchini, Luciano Bianchi, Libero Grandi, Eugene Walter (sorella / falso prete)
Fotografia/Photography: Pasquale Rachini
Musica/Music: Amedeo Tommasi
Costumi/Costume Design: Luciano Morosetti
Scene/Scene Design: Luciano Morosetti
Montaggio/Editing: Giuseppe Baghdighian
Suono/Sound: Enrico Blasi
Produzione/Production: A.M.A. Film
Distribuzione/Distribution: Euro International Films
censura: 68915 del 07-08-1976

Buono Legnani è stato un pittore "folle" che amava dipingere figure di persone in agonia, ritratte poco prima della loro morte. Venti anni dopo il suo tragico suicidio, per valorizzare la sua figura di pittore naif, gli amministratori del piccolo paese della bassa ferrarese dove egli ha vissuto decidono di chiamare Stefano, giovane pittore, per restaurare un affresco in cattive condizioni dipinto dal Legnani che raffigura, nella chiesa, il sanguinoso martirio di San Sebastiano, qui affiancato da due figure, per ora non identificabili per lo stato di decomposizione in cui versa il dipinto, ma che si intravvedono rivolte al santo con sguardi allucinati.

Nello svolgere il suo nuovo compito, Stefano conosce molte persone del luogo e assiste a curiosi e strani episodi che lo inducono a pensare che, nella banale tranquillità di questo  borgo di provincia, si nascondano segreti terribili.
Messo in allarme dal suo amico Antonio circa i cruenti misteri della "casa dalle finestre che ridono", sarà travolto dalla tragedia della morte dello stesso Antonio per "finto omicidio", dalla morte di Coppola, tassista alcolizzato nativo del luogo e testimone di fatti oscuri, della morte di Francesca, maestra con cui era nata una romantica e passionale relazione amorosa e della morte efferata del sagrestano Lidio.
Nell'affresco in corso di restauro e nella casa dalle finestre che ridono si celano i segreti malsani tra il pittore pazzo e due sorelle scomparse misteriosamente tanti anni prima. Dalla sua tenace indagine personale Stefano riuscirà a capire il mistero e affrontare l'imprevedibile finale aperto del film.

Il film nasce da un'idea dei fratelli Avati che, qualche anno prima del 1976, scrivono e lasciano nel cassetto il soggetto originale. Viene poi ripreso e riscritto per il ciak utilizzando la fondamentale collaborazione di Gianni Cavina (poi anche interprete) e Maurizio Costanzo.
Dopo l'esperienza de "La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone" del 1975 e di "Bordella" dello stesso 1976 che non avevano trovato riscontro al botteghino, Antonio e Pupi Avati hanno a disposizione, per tentare questa avventura, un budget limitatissimo .
Il film è stato girato nella bassa padana con pochi mezzi, tanto che la troupe era composta da soli dodici persone che alternano funzioni e ruoli tecnici con materiali ed "effetti speciali" fatti in casa. Ebbe riscontro positivo dalla critica e dal pubblico e in seguito divenne film "cult" del cinema di genere italiano.
La sceneggiatura ben curata e ben strutturata, oltre alla artigiana e magistrale regia, hanno rappresentato l'alchimia che ha fatto funzionare tutto benissimo in questo film.
Il primo grande merito è che fa paura e non è banale apprezzare questo valore non scontato per un film del cinema giallo/ horror. La paura non è originata da scene particolarmente sanguinose, nè splatter esasperate; la paura è figlia della tensione del racconto, delle ottime soluzioni visive, ambientali e sonore e della felice alternanza tra la fatale tranquillità dello scenario distensivo, quasi rilassante della bassa ferrarese, assolato, fisso e statico contro l'esplosione delle scene girate negli interni, nelle case e nella chiesa, che scatenano, per massima contrappunto, l'emozione e la tensione nervosa dello spettatore.
Viviamo, infatti, ad inizio film cose, personaggi e paesaggi blandi, sonnolenti e, in un crescendo mai eccessivo, quasi accompagnati per mano dalle inquadrature curate e mirate della mdp, scopriamo fatti inaspettati, voci misteriose e omicidi efferati tra segreti, paranoia e curiosità.
E' una storia popolare dove la follia emerge per spaventare e disorientare.
L'affresco è il collante attorno al quale si muovono gli attori e la casa dalle finestre che ridono (felice intuizione poi per il titolo del film) è il luogo dove gli spettatori non vorrebbero mai entrare, e dove, invece, Avati materializza tutte le nostre più buie paure.
Nella storia c'è un pò di erotismo; in punta di piedi si sviluppa la relazione tra Stefano e Francesca che si contrappone, con giusto equilibrio, ai meccanismi del thriller, all'indagine sempre in evidenza del giovane restauratore alla scoperta del male. Dal sole del paesaggio emiliano al buio delle stanze chiuse, ai rumori delle porte e delle finestre che cigolano, alle ombre che passano per farci stare sempre in guardia, proprio come il protagonista Stefano.
Si intravvede qualche elemento del cinema argentiano e qualcosa del cinema gotico (castello buio equivalente a casa buia), ma Avati fa funzionare tutto bene, tanto che le originalità prevalgono, così oppressive e coinvolgenti.
Anche gli attori funzionano bene. Meglio questo Capolicchio testardo, romantico ed espressivo che il successivo Lavia nell'altro thriller "Zeder". L'attore è padrone della scena e conduce tutti, di volta in volta, verso la loro morte, la loro disperazione, o la loro follia.
Da segnalare l'inossidabile e bravissimo Gianni Cavina. Musiche di Amedeo Tommasi con due temi positivamente ripetitivi, uno per la parte romantica, l'altro per quella horror, che si ricordano.
Il finale è folgorante, non convenzionale e aperto, anche se la sceneggiatura, per la verità, ne prevedeva un altro più scontato. L'ombra della mano che compare nell'ultima inquadratura è del regista.
Chi conosce Avati per i molti film realizzati nella sua carriera e le prove degli ultimi vent'anni circa: da "Regalo di Natale" del 1986 a "Il cuore grande delle ragazze" del 2011, passando per "La seconda notte di nozze"del 2005, "Il papà di Giovanna" del 2008, "Gli amici del bar Margherita" del 2009 e "Il figlio più piccolo" del 2010, per citarne alcuni, sa che il regista è costantemente alla ricerca della sua identità, dei luoghi dove ha vissuto che sa valorizzare al meglio.
Ha dedicato le migliori storie alla sua terra e ai personaggi che vi abitano e che ne caratterizzano le matrici storico-culturali.
Anche se "La casa delle finestre che ridono" e i successivi "Zeder" e "L'arcano incantatore" sono riconducibili al genere thriller/horror e paiono lontani dai temi più cari al regista bolognese, non ci si può sottrarre o prescindere dalla loro visione, perchè anche essi assolvono al progetto generale per capire le tematiche care ad Avati.
Ci si potrebbe augurare, anzi, che, continuando ad approfondire la scoperta della sua terra e i caratteri dei suoi protagonisti, egli ci possa ancora regalare un film horror di quel livello, con il suo talento e le capacità che gli vengono riconosciute da critici e spettatori appassionati.

Curiosità:
-Durante le riprese girate la sera del 6 maggio 1976, per qualche breve istante, si percepisce la scossa di terremoto che, in Friuli, provocava il devastante terremoto.
-Le ombre che si intravvedono durante le riprese del film sono provocate dal corpo del fratello del regista, Antonio Avati, che si prestò ad aiutare la troupe.
-Nel 1979 ha vinto il premio della critica al Festival du film Fantastique di Parigi.
-Il titolo scelto originariamente doveva essere Blood relations-Relazioni di sangue.
-Il film doveva essere girato in Usa, poi si ripiegò per l'Italia

Recensione a cura di:



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