LA BAMBOLA DI SATANA (1969)


Regia/Director: Ferruccio Casapinta
Soggetto/Subject: Ferruccio Casapinta
Sceneggiatura/Screenplay: Giorgio Cristallini, Carlo Lori, Ferruccio Casapinta
Interpreti/Actors: Erna Schürer, Roland Carey, Aurora Bautista, Ettore Ribotta, Lucie Bomez, Manlio Salvatori, Franco Daddi, Beverly Fuller, Eugenio Galadini, Giorgio Gennari, Domenico Ravenna, Teresa Ronchi, Giovanni Scratuglia [Ivan G. Scratuglia]
Fotografia/Photography: Francesco Attenni
Musica/Music: Franco Potenza
Costumi/Costume Design: Giuliana Serano
Scene/Scene Design: Alessandro Dell'Orco
Montaggio/Editing: Francesco Attenni
Suono/Sound: Giuseppe Mangione
Produzione/Production: Cinediorama di Attenni Francesco
Distribuzione/Distribution: Indipendenti Regionali
censura: 53743 del 10-03-1969
Altri titoli: Satana ha sbagliato una mossa

Una giovane giunge col proprio fidanzato al castello che ha ereditato dopo la morte del ricco zio. La proprietà è bella e vale molto, ma alcuni fatti inquietanti come racconti di fantasmi e strani rumori notturni, sconvolgono la psiche della ragazza che si decide presto ad accettare l'offerta di vendere la proprietà a un vicino interessato all'acquisto. Il fidanzato è però sospettoso, vuole vederci chiaro, e indaga sul segreto del castello e delle persone che vi ruotano attorno. L'ex segretaria del defunto zio, impazzita e costretta su una sedia a rotelle in seguito a un incidente, segregata in una stanza del maniero, sembra voler svelare qualcosa, ma viene presto uccisa. Anche l'incompreso cane del giardiniere, che tutte le notti ulula davanti al cimitero di famiglia, a modo suo, vuol collaborare. Nel frattempo la povera protagonista, cui tutte le notti qualcuno versa della droga nel latte caldo che prende prima di coricarsi, è preda di spettrali ed erotiche visioni notturne. E' chiaro alle spalle di tutto ciò che ci sia un complotto, di natura affatto soprannaturale ma puramente economica.

Dovremmo essere in Francia ma sicuramente è stato girato in Italia nel solito castelletto sperduto in campagna, inquadrato neanche troppo generosamente, nascosto dalla vegetazione e circondato da brutti rovi tipici dell'incuria paesaggistica nostrana. La fotografia non aiuta, né lo spessore psicologico dei personaggi, ridotti a semplici mefistofeliche maschere da fumetto. Sembrerebbe un horror ma in realtà è un giallo, e un giallo dalla trama che svela anche troppo; non per difetto di sceneggiatura ma per scelta. E chissà perché, a scapito della tensione, già a metà film si capisce cosa sta succedendo, chi è la vittima e chi ordisce il complotto. I personaggi, un gruppo ristretto di attori poco noti (ad eccezione di Erna Schurer) ma dalle filmografie abbastanza prolifiche (curioso Roland Carey che dai peplum anni 60 è passato ai porno di Joe D'Amato fino a partecipare a FILM ROSSO di Kieslowski) ruotano intorno a questa spettrale proprietà dove, come al solito, durante i temporali va via la luce e le fronde degli alberi sfondano le finestre, dove nelle segrete ci sono i resti di antiche sale di tortura, e dove addirittura pare che nei dintorni vi siano sabbie mobili (!). Curioso anche come, in pieno stile Jesus Franco, si passi, nel montaggio di diverse inquadrature di raccordo di una stessa sequenza, dal giorno alla notte. Si assiste a un dialogo in cui il compagno della protagonista chiede al giardiniere come mai sia ancora in piedi a quest'ora tarda, peccato che sono illuminati dalla luce del sole, con tanto di ombre, e con come sonoro il canto dei grilli! Si nota anche qualche problema in scene di dialoghi in interni: ogni volta che cambia l'inquadratura muta anche la direzione dalla quale proviene la luce che illumina gli attori e le conseguenti ombre. E' forse qualcosa che non noteranno gli spettatori comuni, ma un occhio un po' più attento intuisce la precarietà di mezzi e fors'anche di tempi con cui sono avvenute le riprese. L'altra location in cui si snoda l'intreccio, a parte il castello e dintorni, è il bar-ristorante del paese, che forse era uno studio o un semplice salone qualsiasi riempito con qualche tavolo e un jukebox, alle cui pareti sono appesi i soliti drappi colorati e dal tessuto spesso, soluzione frequentemente adottata all'epoca per mascherare e adibire scenograficamente un luogo che non era tale. Ce ne sono tanti di filmetti tardo gotici minori come questo, sia italiani ma anche francesi o spagnoli. Dopo che se ne vedono due o tre sembra di rivedere sempre lo stesso film, ma ogni volta con un valore diverso, ogni volta, da amanti del genere, abbandonandosi a un viaggio in situazioni al di là del tempo e dello spazio, proprio a causa della confusione spesso involontaria generata da realizzazioni approssimative che non tenevano conto della coerenza tra l'ambientazione della storia e quella reale dell'effettivo luogo delle riprese. Ma come si fa, nonostante tutto, a non amarli?, a non riconoscerne un certo fascino di tempi andati? Ferruccio Casapinta, il regista, ha diretto solo questo film.

Recensione a cura di:


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