QUANDO LE DONNE SI CHIAMAVANO MADONNE (1972)



Regia/Director: Aldo Grimaldi
Soggetto/Subject: Aldo Grimaldi
Sceneggiatura/Screenplay: Gianni Grimaldi
Interpreti/Actors: Edwige Fenech (Giulia Varrone), Vittorio Caprioli (podestà), Stefania Careddu (Francesca), Mario Carotenuto (Quinto Fulvio), Aldo Caponi [Don Backy] (Mercuzio), Paolo Turco (Tazio), Antonia Brancati (Lucia, nipote del frate), Carlo De Mejo (Gisippo), Jürgen Drews (Ruberto), Francesca Benedetti (Gisa), Peter Berling (Romildo Varrone), Carletto Sposito (frate Mariuccio), Eva Garden (Peronella), Renato Malavasi (cerusico), Rosita Pisano (domestica di Quinto)
Fotografia/Photography: Angelo Lotti
Musica/Music: Giorgio Gaslini
Costumi/Costume Design: Giuditta Mafai
Scene/Scene Design: Giuseppe Bassan
Montaggio/Editing: Daniele Alabiso
Produzione/Production: Erka Cinematografica, Italian International Film, Transeuropa Film, Princeps Produzioni Cinematografiche e Televisive, Dieter Geissler Filmproduktion, München
Distribuzione/Distribution: Italian International Film
censura: 60853 del 22-08-1972
Altri titoli: Der Pfaffenspiegel

Tre baldi giovanotti a Prato in occasione di un processo di adulterio si danno, con elucubrazioni mentali, a complicate faccende di letto.
Agli inizi degli anni 70, dopo il successo delle prime due pellicole pasoliniane facenti parte della “trilogia della vita”( Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) seguito da Il fiore delle Mille e una notte (1974) ), si sviluppò in Italia un filone di genere denominato “Decamerotico” che contò la bellezza di più di 50 film  nel giro di 4 anni (1971-1974), con un picco di 30 pellicole girate solo nel 1972. I film appartenenti a questo filone avevano come caratteristiche comuni : la presenza massiccia di vicende a sfondo sessuale che non sfociavano nel porno, bensì nella commedia boccaccesca/popolare;  l’ambientazione in un’Italia tardo medioevale e,di conseguenza, l’uso di un abbigliamento in costume e di un linguaggio semi dialettale (il più delle volte toscano antico).
Il regista Aldo Grimaldi mette in scena una commedia che racchiude alla perfezione le caratteristiche sopra citate, rendendola (assieme a pellicole come La bella Antonia, prima monica e poi dimonia e Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda di Mariano Laurenti nel 72)  un manifesto di un’epoca (seppur breve) cinematografica, quindi un piccolo cult.
I giovani Gisippo (Carlo De Mejio), Ruberto (Jürgen Drews) e Tazio (Paolo Turco)  sono diretti a Signa per una non specificata ragione e contano di ricevere un passaggio da qualcuno per continuare il loro viaggio, purtroppo di tutta la gente che incontrano nessuna va da quelle parti, bensì a Prato. I giovani, fermando un uomo con un calesse, vengono a sapere che tutti si stanno recando li perché sta per cominciare un processo contro l’adultera madonna Giulia Varrone (Edwige Fenech), sorpresa in fragrante con l’amante Marcuzio dei Lucani (Don Backy) dal marito gelosissimo Romildo Varrone (Peter Berling). I giovani colgono la palla al balzo e decidono anch’essi di recarsi al processo per godersi lo spettacolo. Giunti a Prato assistono al processo rimanendo impressionati dalla bellezza e dalla caparbietà della condannata, che di fronte a tutto il paese ed al podestà (Giuseppe Caprioli), imbastisce una difesa personale granitica. Madonna Giulia si dichiara innocente, in quanto sopperisce totalmente ai suoi doveri coniugali, anzi accusa il marito, reo di poca virilità ed egoismo sotto le coperte, di lasciarla insoddisfatta, al contrario di Marcuzio, che ne appaga tutti i sensi. Il podestà, constatando la situazione, da la possibilità a madonna Giulia di provare ciò che dice la sera stessa, ove giacerà sia col marito che con l’amante davanti a tutti. Ruberto, avendo adocchiato durante il processo due belle ragazze, Lucia (Antonia Brancati), figlia di frate Mariaccio (Carletto Sposito), obbligata dal padre alla castità e Francesca (Stefania Careddu),  decide di rimanere a Prato con i suoi amici. I tre vengono ospitati dall’avaro zio di Ruberto, Quinto Fulvo (Mario Carotenuto). Giunti sul posto fanno la conoscenza di Peronella (Eva Garden) e Gisa (Francesca Benedetti), rispettivamente figlia e moglie di Quinto Fulvo, che sembrano affascinate rispettivamente da Tazio e Gisippo. Tra gaudenti scorribande e dimostrazioni di potenza sessuale… il finale non tarderà ad arrivare!  
Piacevolissima pellicola di genere di poche pretese, che regala più di quanto ci si aspetta. Aldo Grimaldi ci regala un cast d’eccezione (per il cinema bis dell’epoca) composto da nomi come Fenech (stella presente e futura del cinema di genere in tutti i filoni possibili), Mario Carotenuto (che nei panni dello zio avaro fa un gran lavoro di caratterizzazione del personaggio), Vittorio Caprioli (altra icona del cinema bis italiano e non), Carletto Sposito  ed il cantante Don Backy (che in carriera comparirà in almeno 25 pellicole). Grazie a dei dialoghi ben fatti ed una buona cura per la scenografia e per le musiche (scritte da un “certo” Giorgio Gaslini), il film tiene botta per tutta la sua durata evitando di diventare molesto e grossolano come, ahimé, altre pellicole del medesimo genere dell’epoca.
Ne consiglio il recupero, soprattutto a chi volesse approfondire la conoscenza del filone “Decamerotico”.

Madonna Giulia Varrone  (Edwige Fenech): -“Se egli ha sempre preso di me ciò che gli bisognava e piaceva, cos doveva o debbo fare di quello che m’avanza?”
Don Cecco il podestà (Vittorio Caprioli): -“Ve ne avanza?”
Madonna Giulia Varrone  (Edwige Fenech): -“Non lo so… ditemelo voi!” (spogliandosi)
Don Cecco il podestà (Vittorio Caprioli): - “Ve ne avanza, ve ne avanza!”
Madonna Giulia Varrone  (Edwige Fenech): - “E ditemi ancora, devo gettare ai cani questo corpo desioso d’amore? O forse non è meglio servirlo a un gentiluomo che m’ama anziché lasciarlo perdere e guastare?”

Don Cecco il podestà (Vittorio Caprioli): - “Che perdere! Che Guastare! La grazia di Dio non si getta ai cani!”

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