MACISTE NELLE MINIERE DI RE SALOMONE (1964)

Regia/Director: Piero Regnoli [Martin Andrews]
Soggetto/Subject: Piero Regnoli
Sceneggiatura/Screenplay: Piero Regnoli
Interpreti/Actors: Reg Park (Maciste), Wandisa Guida (Fazira), Dan Harrison (Abukar), Eleonora Bianchi (Samara), G. Elio Jotta [Leonard Elliott] (Riad), Carlo Tamberlani (Zelea), Loris Loddi (piccolo Vasma), Giuseppe Addobbati (re Namar), Bruno Scipioni (Kadar), Nino Persello (Belal)
Fotografia/Photography: Luciano Trasatti, Mario Capriotti
Musica/Music: Francesco De Masi
Costumi/Costume Design: Franco Loquenzi
Scene/Scene Design: Aurelio Crugnola
Montaggio/Editing: Ornella Micheli
Suono/Sound: Alessandro Sarandrea
Produzione/Production: Panda - Società per l'Industria Cinematografica
Distribuzione/Distribution: Titanus
censura: 43231 del 25-06-1964
Altri titoli: Maciste dans les mines du roi Solomon, Samson in King Solomon's Mines

Zimba è un regno ricchissimo, grazie alle segrete e ricchissime miniere d’oro del mitico re Salomone. Il viscido Riad, alleatosi con la guerriera Fazira, riesce con un rapido colpo di stato a impossessarsi del regno; e passa subito alla ricerca dei potenziali eredi legittimi (un giovane prode e coraggioso chiamato Abucar, la sua amata Samara e l’erede diretto, il piccolo Vazma) per poterli eliminare e assicurarsi definitivamente il potere e lo sfruttamento – ai quali destinano migliaia di schiavi – degli inesauribili filoni d’oro; ma i due non hanno fatto i conti con il prode Maciste.
L’eroico forzuto, dopo essere stato soggiogato da una magia di Fazira e ridotto a una sorta di golem di carne e ossa, spezza l’incantesimo e permette agli schiavi di recuperare la loro libertà; mentre i due tiranni periscono della stessa sorte – una colata di oro fuso – che avrebbero dovuto subire Abucar e Samara. Scritto e diretto con divertito mestiere da Piero Regnoli (l’uomo che con la sceneggiatura de I vampiri, 1957 di Riccardo Freda e Mario Bava, fu tra i creatori del fantastico “made in Italy”), è un film stracolmo di quell’ingenuità che è un po’ il marchio di fabbrica del “peplum”, con i suoi personaggi costruiti come avatar del bene e del male dagli immutabili connotati fisici e morali, con la sua storia piena di inganni apparentemente sofisticati, l’esotico fascino di passati remoti – o meno – assolutamente alternativi, piegati alle necessità della vicenda drammatica. In un genere fatto di rigidi stilemi, questo titolo non è né migliore né peggiore di tanti altri, con qualche buono spunto drammatico (Maciste alle prese con due tiri da quattro cavalli rinchiuso in una gabbia costellata da lame, pre indicarne una) e il consueto uso di colori pastosi e ricchi – direzione della fotografia affidata alla coppia Mario Capriotti (La lupa mannara, 1976 di Rino Di Silvestro) e Luciano Trasatti (Nachts, wenn Dracula erwacht / Il conte Dracula, 1970 di Jess Franco) – nella quale è sempre facile sprofondarvi dentro. Al solito il cast vede dei cattivi assai più incisivi dei buoni; e così, anche se le prove di Wandisa Guida (La vendetta di Ercole, 1960 di Vittorio Cottafavi) e Dan Harrison (Sindbad contro i sette saraceni, 1964 di Emimmo Salvi) risultano più che accettabili, i veri mattatori finiscono per risultare il viscido Elio Iotta (Lo spettro, 1953 di Riccardo Freda) e la bellissima ma altera e senza cuora Eleonora Bianchi (L’ira di Achille, 1962 di Marino Girolami); mentre il britannico Reg Park (ex calciatore e culturista britannico approdato ai nostri lidi per Ercole alla conquista di Atlantide, 1961 di Vittorio Cottafavi) risulta tra i meno espressivi forzuti del cinema italico. Una menzione la merita il piccolo Loris Loddi (Maciste, l’eroe più grande del mondo, 1963 di Michele Lupo) che, prima di avviarsi a una lunga carriera interpretativa, dimostra come alle volte anche qualche bambino del bel paese sia in grado di comparire su uno scherma senza obbligatoriamente dover apparire inadeguato e/o irritante. Una solida colonna sonora del bravo Francesco De Masi (Ercole l’invincibile, 1964 di Alvaro Mancori) confeziona una pellicola artigianale ma non per questo indecorosa o banale.

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