FERNANDO DI LEO: UN PUGLIESE A ROMA - DOCUMENTARIO DI BEBORAH FARINA


E' da giovedi' 28 novembre,da quando sono uscito dalla proiezione del documentario di Deborah Farina "Fernando Di Leo: un pugliese a Roma",presso il Cinema Trevi,che i pensieri, le impressioni di questa serata mi si aggrovigliano in testa, ho provato piu' volte a trascrivere tutte le sensazioni che questo evento mi ha dato, ma ogni volta non mi sembrava la forma appropiata,scrivere di Fernando Di Leo senza rischiare di scadere nel banale non è cosa semplice.Poi mi sono reso conto di una cosa:stavo cercando la maniera di fare una sorta di articolo, una specie di "recensione" dell'evento, con tutta una serie di "paroloni" e frasi rindondanti degne del piu'consumato scribacchino da rivista, blog, forum di settore...niente di piu' sbagliato. La semplicita' e la passione sono le chiavi , con tutte le infinite sfumature che queste due parole contengono, per scrivere di questa serata. Perche' sono sopratutto questi due aspetti della personalita' di Di Leo che emergono, prima  dalla mini-conferenza presieduta e moderata da Marco Giusti alla quale hanno partecipato un commosso Gianni Macchia, che ha ricordato sopratutto la sua esperienza con Di Leo in "Brucia ragazzo brucia"(1969), Gianni Garko (che all'inizio non era presente,per poi magicamente materializzarsi nello stesso istante in cui Deborah Farina lo stava citando,quando si dice la magia del momento...) che oltre a menzionare "Il Boss"(1973) e il suo ruolo di commissario corrotto, con un gustoso anedotto riguardante la sua parlata siciliana e il doppiaggio, ha ricordato un altro film di Di Leo spesso poco citato e cioe' "Rose rosse per il Fuhrer"(1968).

 
Ai ricordi di questi due grandi attori del nostro Cinema si sono poi sommati quelli piu' intimi di Rita Di Leo,sorella del regista, che ha posto sopratutto l'accento sulla realta' della Famiglia Di Leo, sulla passione con la quale il fratello parlava di Cinema sopratutto in casa, della sua ammirazione per Luchino Visconti (cosa questa poco risaputa), ma anche del periodo di sconforto che visse Di Leo a causa dell'andamento negativo della "Cineproduzioni Daunia '70", discorso questo ripreso anche da Enzo Dell'Aquila, anch'esso presente alla serata e con il quale ho avuto il piacere di chiaccherare poco prima. Ora bisogna dire che tutto questo parlare di Di Leo stava letteralmente prendendo il sopravvento, era un flusso continuo di ricordi, anedotti, curiosita' che si intrecciavano tra di loro, quelli di Macchia e Garko che come attori ci hanno lavorato, quelli dei famigliari presenti,da menzionare, oltre la sorella Rita, anche Giuliana Di Leo...insomma, credetemi, sembrava che Di Leo fosse li' con noi,talmente "forte" era la sua presenza attraverso il ricordo di chi l'aveva conosciuto. Poi è venuto il momento del documentario: Pier Paolo Capponi apre la lunga sequenza di interviste leggendo una poesia scritta dal Regista, una poesia bellissima e struggente, letta con un'impostazione da brividi, pausa...una pausa di qualche minuto... una pausa che fa' riflettere... dopo di che', intervallate dalle sequenze di Milano calibro 9, Avere vent'anni (il cui tema musicale è un po' la colonna sonora portante del documentario), il poliziotto è marcio, Diamanti sporchi di sangue, la bestia uccide a sangue freddo, il Boss, Colpo in  canna,Brucia ragazzo brucia, Rose rosse per il Fuhrer, e da tutti gli altri Film, ecco le varie testimonianze di chi con Di Leo ha vissuto e lavorato: Renzo Arbore, che ricorda gli anni della gioventu' in comitiva insieme, il loro reincontrarsi a Roma, Barbara Bouchet, sull'indimenticato e mitico balletto in "Milano Calibro 9" e su come giro' la scena con Di Leo, e quella del cazzotto di Gastone Moschin, Lino Banfi, che pone l'accento sulle comuni origini pugliesi con il regista e di come lo stesso gli desse indicazioni in dialetto durante le riprese di "Un colpo in canna",i gia' citati Gianni Macchia e Gianni Garko,che ad onor del vero ripropongono quello che hanno detto durante la mini-conferenza che ha preceduto la proiezione. Si continua con la sorella Rita,e qui i ricordi, naturalmente, sono piu' personali, e ci dipingono un Fernando Di Leo piu' intimo, piu' famigliare e al contempo, naturalmente, filtrato attraverso gli occhi di una sorella nei confronti del fratello. Altri interventi si hanno con Aris Accornero e con Galliano Juso,intervallate da immagini che riprendono Di Leo sul set,ancora Pier Paolo Capponi reiterpreta, con le immagini sovrapposte dal film "diamanti sporchi di sangue",la sequenza dove "inchioda" (letteralmente) Roberto Reale, e tramite questa, si riaggancia al modo di lavorare sul set da parte di Di Leo con gli attori.Insomma, un escursus interessantissimo, che permette di scoprire un Di Leo inedito, attraverso queste testimonianze.
Ma devo dire la verita', ( e qui prevale l'istinto dello spettatore,non del "critico per forza",ma dello spettatore...lo ripeto),all'inizio, subito dopo la visione, questo "Fernando Di Leo:un pugliese a Roma" mi aveva lasciato qualche punto interrogativo. La stessa Deborah Farina, alla domanda di Marco Giusti durante la presentazione, aveva specificato che quella vista non sarebbe stata la versione definitiva, ed in effetti  la prima sensazione che mi ha dato è stata come se "mancasse qualcosa",come se tra i tanti anedotti e ricordi che si sono voluti dare di Di Leo non ci fosse un giusto bilanciamento tra l'aspetto inedito dell'Uomo e quello piu' conosciuto come Regista, questo forse perche' in effetti i contributi dati nel documentario sono "limitati" ad un numero ristretto di persone, e non ci permettono di cogliere appieno le tante differenti e interessanti sfumature che una personalita' come Di Leo incarnava.Almeno non in questa versione. Questa non vuole essere una stroncatura, ma molto probabilmente qualche testimonianza in piu',e piu' variegata,lo renderebbero piu'completo.

Articolo a cura di:
Lorenzo Mangosi | Crea il tuo badge

Commenti

Gordiano Lupi ha detto…
Ho scritto un libro su Di Leo che non si è filato nessuno...
Roberto Zanni ha detto…
Il l'ho messo in lista ;)