UN TRANQUILLO POSTO DI CAMPAGNA (1968)



Regia/Director: Elio Petri
Soggetto/Subject: Tonino Guerra, Elio Petri
Sceneggiatura/Screenplay: Luciano Vincenzoni, Elio Petri
Interpreti/Actors: Franco Nero (Leonardo Ferri), Vanessa Redgrave (Flavia), Georges Geret (Attilio), Gabriella Grimaldi (Wanda), Madeleine Damien (medre di Wanda), Rita Calderoni (Egle), Renato Menegatto (amico di Egle), David Mansell (medium), John Francis Lane (infermiere), Valerio Ruggeri, Arnaldo Momo, Costantino De Luca, Marino Biagiola, Piero De Franceschi, Camillo Besenzon, Renato Lupi, Umberto Di Grazia, Giuseppe Bella, Bruna Simionato, Onofrio Fulli, Elena Vicini, Sara Momo, Otello Cazzola, Graziella Simionato, Giulia Menin
Fotografia/Photography: Luigi Kuveiller
Musica/Music: Ennio Morricone
Costumi/Costume Design: Franco Carretti
Scene/Scene Design: Sergio Canevari
Montaggio/Editing: Ruggero Mastroianni
Produzione/Production: P.E.A. - Produzioni Europee Associate di Grimaldi Maria Rosa, Produzioni Associate Delphos, Productions Artistes Associés, Paris
Distribuzione/Distribution: P.E.A.
censura: 52702 del 13-11-1968
Altri titoli: A Quiet Place in the Country, Un coin tranquille à la campagne

Siamo sul finire degli anni ’60, in America la Manson Family comincia a compiere i suoi efferati delitti, la contestazione è nel suo pieno exploit totalitario e le droghe allucinogene hanno ormai da tempo affermato i loro pericolosissimi effetti psicologici intermediando con l’Arte, la Letteratura, la Politica, la Musica e il Cinema. Elio Petri è un regista con una già discreta filmografia alle spalle e nel 1968 scrive una sceneggiatura a sei mani con Tonino Guerra e Luciano Vincenzoni che catalizza la psicotica realtà sessantottina. Sebbene il protagonista di “Un tranquillo posto di campagna” non faccia consumo di droghe allucinogene, ma bensì di un’alta dose di alcool (simbolo di un’ Italia mai al passo con i tempi), rappresenta al meglio ciò che sta accadendo nel movimento artistico e politico del periodo. E’ un pittore in crisi, vittima dalla sua stessa prigione, di cui ha definitivamente consegnato le chiavi alla sua manager, nonché amante. Situazione spasmodica che lo porta ad un’irreversibile nevrotica repressione che culmina nella più totale follia.

L’uomo come vittima di se stesso e del sistema economico, giudiziario e sociale è un tema molto caro a Petri e in “Un tranquillo posto di campagna” lo camuffa in veste lisergica, con una narrazione tecnica che fa il verso ad Antonioni e l’occhiolino al Polański di “Rosemary’s Baby”. Il montaggio alternato, con continui spostamenti sull’asse e raccordi d’inquadratura discontinui, confondono lo spettatore, che riesce ad intrufolarsi nella mente distorta del protagonista grazie al climax narrativo della “Ghost Story”. L’ossessionata ricerca del fantasma di una ragazza morta tragicamente è l’unico aggancio narrativo che rende la pellicola omogenea e lo spettatore incollato alla poltrona. Il sadismo dei personaggi genera l’enfasi sessuale che lentamente li consuma trasportandoli automaticamente nella loro più naturale personalità, mostrando tutte le loro reali debolezze. Leonardo, interpretato da un catatonico Franco Nero, è un ibrido tra Jackson Pollock e Jack Torrance, che vede in Flavia (una sensualissima Vanessa Redgrave) il suo carnefice psicologico e sessuale. Leonardo vorrebbe fare a pezzettini Flavia, lo vuole così tanto che la sua immaginazione lo trascina nella follia più totale, facendogli credere di essersi liberato di lei e quindi della sua prigionia psicologica. Successivamente si verrà a conoscenza che è tutto nella sua mente e che l’unica chance che gli era rimasta per essere finalmente libero è svanita. La follia, che per Leonardo poteva essere il biglietto di sola andata per la libertà, si rivela invece un ulteriore condanna che permette a Flavia di sfruttare totalmente il suo talento pittorico, nonché la sua esistenza. Leonardo probabilmente se ne rende conto, probabilmente lui non accantona l’idea di farla a pezzettini, probabilmente gli è concessa un’altra possibilità. 

“Un tranquillo posto di campagna” è certamente figlio della sua epoca, impreziosito dalle contaminazioni socio-artistiche e cinematografiche che provengono dal passato, dal suo stesso presente che lo rendono del tutto personale e anche un po’ il nostro Caligari tutto italiano.

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